MARISA MARCONI
I fantasmi che vivono in noi
Dal nero profondo delle certezze annientate, risalgono all’evidenza, frammiste ai vessilli delle ambigue primazie d’un tempo, le forme rigonfie di un presente troppo soffocato da fobìe e da psicodrammi esistenziali, per tentare di disvelarne i dettagli identitari.. Epifanie di un cosmo che ci appartiene, ma bersaglio di un rigetto provocato da amnesie e disprezzo del tempo perduto, più che dall’angoscia di incrociare gli itinerari di Thanatos, queste presenze emergenti dai misteri psicologizzati della notte ci inseguono nei torbidi meandri delle nostre coscienze dilaniate dai troppi conflitti interiori e non ci offrono alcuna via di scampo.
Lampi di luce accecanti come flash forano la spessa coltre dell’oscurità e ci sollecitano ad una ricognizione di forme corporee presumibili, volumi frattali, facies antropozoologiche che, a poco a poco, risalgono i sentieri intasati della nostra memoria, la sollecitano ad una presa di (ri)conoscenza di quelle epifanie, non importa se a prezzo di una full immersion dagli effetti talvolta choccanti. Perché questi coaguli di luce che galleggiano come asteroidi di un buco nero nello spazio indefinito di un tempo senza tempo sono - come sembra in ultima analisi suggerirci Marisa Marconi - semplicemente i fantasmi dei nostri desideri incompiuti, delle nostre voglie represse. Se le cose stanno così, si spiega la voracità voyeuristica con cui osserviamo questi dipinti.
Carlo Melloni
maggio 2007